Su l’opera dipinta

Ad apertura e quale premessa al mio breve percorso critico nell'opera recente di Giovanni Greppi, vorrei evidenziare la perfetta corrispondenza di intenzioni espressive e di modi formatori che si riscontra tra i versanti in cui sin dagli inizi - non remoti, per ragioni anagrafiche - si è diramata la ricerca dell'artista.
Dico anzitutto la pittura. La quale ormai sicura per proprietà di linguaggio e coerenza dello stile, essendo condotta con una certa ricchezza di soluzioni tecniche, si dispiega sulle estese superfici e idealmente prosegue oltre i limiti fisici della tela, quasi il recinto visualizzato fosse parte di una totalità non rappresentabile, ma data in ipotesi all'immaginazione del riguardante. Quindi l'incisione a più lastre finalizzata alla resa del colore, che Greppi esegue con magistrale sapienza ed esiti grafici originali, nell'insieme formalmente omologhi a quelli pittorici ma di diversa, e più sottile, tessitura segnica.
In entrambi i versanti Greppi mette in campo mezzi tecnici e modi operativi che comportano un certo grado di progettualità, ossia una supervisione lucida dei processi generativi ed evolutivi della forma.
Lo fa senza pregiudicare in alcun modo il carattere "aurorale" della partitura. Ricordo, per esempio, l'uso strumentale della fotografia, la cui presenza è talora ben riconoscibile, e quasi dichiarata, quale fonte prima o scaturigine dell'immagine e che funge, a un tempo, da ancoraggio estremo dello sguardo alle apparenze del mondo fenomenico. Penso, inoltre, al calcolo esatto dei registri e all'oculata previsione delle combinazioni cromatiche, aspetti tecnici necessariamente freddi che giocano un ruolo importante nell'elaborazione delle matrici calcografiche per l'incisione.
L'artista deve tenerne conto, se vuoi ottenere stampe di alta qualità estetica e di puntuale definizione visiva. Tuttavia, per quanto la componente razionale sia diffusa e attiva, ecco!, si verifica che mai la visione risulti estraneata al filtro ottico dell'obiettivo, o che l'impulsività della mano si raggeli al controllo della mente, pur vigile al governo dei complicati meccanismi formatori. Invero, Greppi può contare su un'agile e affinata sensibilità. È un potenziale accumulato nel tempo, con l'esperienza di vita e la cultura, oggi spendibile nella partita creativa e in grado di compensare il momento analitico del processo formatore agendo sulla sfera interiore e attivandola, sicché rifluiscono sensazioni, suscitazioni, memorie diverse per scarto e intensità emotiva, tutte fedelmente registrate sulla superficie e nella profondità virtuale della tela e della carta. Per tale rara capacità di equilibrio tra dominio e abbandono, tra aspirazione all'ordine e sensibile risposta alle sollecitazioni interiori, Greppi può navigare in un'area della forma rarefatta e ai limiti della riconoscibilità, sul piano dei referenti oggettivi cui pure l'immagine rimanda. Non si tratta di un'astrazione dal reale, quanto di una sorta di ricognizione ravvicinata che determina, nel luogo formale, una percezione mutagena del reale: la materia si dilata sin quasi a dissolversi; delle cose non restano che le impronte, e direi meglio le scie, se si considera che si indagano e si evocano gli stati transitori della materia, il divenire dell'essere nel laboratorio della pittura. E si fa luogo dell'immersione panica, delle unioni panteiste la pittura, ormai approdata a naturalismo simbolico pieno di echeggiamenti orifici. Divenuta impalpabile, intessuta d'aria, la materia si manifesta per trasparenze, nella sua variegata estensione spaziale, e vive della liquiidità del colore, che risuona di timbri, e si anima della vibrazione del segno modulato plasticamente a suggerirne gli andamenti - ma vorrei dire la fluenza - più che scandito ad accentuarne la struttura. La partitura sembra nell'insieme ispirata a rana leggerezza, quasi il mondo fenomenico, pure vi abita con il molteplice suo corredo di acque e terre ed erbe e cieli, deposte le spoglie che, avesse indossato un paramento corporeo, tuttavia prezioso, in cui sono visibili le tracce vitalistiche, la memoria morfologica degli elementi e delle creature. In virtù di una pittura mirata alla massima riduzione degli menti formali, lo sguardo può sottrarsi all¹accidentalità fenomenica e, abbattute le barriere del tempo e dello spazio, accedere a una visione, certo intuitiva, dell'essere prossima alla condizione originaria, prefigurabile come una nebulosa in cui si compie la perenne mutazione di stato degli elementi creati. Ora, non è dato accedere a un livello profondo di conoscenza del laboratorio della natura, e dei meccanismi che presiedono al mistero della vita nell'economia universa, se non si è forniti della chiave di lettura, se non si mettono a punto adeguati strumenti formali che consentano un approccio analogico a quei contenuti altrimenti inesprimibili.
Per questa ragione, una costante dell'opera dipinta e incisa di Giovanni Greppi è stata, sin dagli esordi, l'attenzione alla qualità formale della partitura. Importava pervenire a una tessitura grafo-pittorica idonea a simulare, nella dinamica delle strutture visive, l'intima animazione della materia. Ossia il principio del divenire perenne, dell'inarrestabile mutare di ogni cosa nella continuità del tempo, un concetto che collega il mondo antico al moderno, e stabilisce connessioni tra l'originaria formulazione del "tutto scorre" di Eraclito, secondo il quale non è possibile mai bagnarsi nella stessa acqua, e lo slancio vitale di Bergson che concepisce l'universo come un organismo pulsante, attraversato e pervaso da energie feconde. Nell'ottica vitalista ora delineata, la pittura e l'incisione di Greppi hanno assunto una morfologia alquanto varia, su un ventaglio che dall'esile filamento e dalla striatura modulare va al nucleo materico e all'ampia pezzatura tachista. In alcune opere ricorrono reticoli più o meno fitti e regolari di segni intrecciati e sovrapposti in serie a diverso orientamento spaziale, con un effetto visivo quasi da arazzo. Altrove predominano trame segniche più larghe e irregolari, mosse e contrastate come di uno stadio più primitivo dell'organizzazione della materia, ai confini del caos originario, e della proposizione informale, per quanto attiene l'appartenenza stilistica di quelle partiture. In ogni caso, la superficie risulta luogo di mutazioni, campo di forze visualizzate in una scrittura segnica dall'andamento ora fluido e falcato, ora ritmico e sincopato, impostato comunque di preferenza sulla diagonale, quando non si traduca in vortici o in più rari movimenti ascensionali che evocano il turbinio degli elementi e, per altro verso, il loro alterno combinarsi e separarsi nella dialettica della generazione e della corruzione in cui consiste l'alchimia della vita nello scenario del creato. Con un gioco sapiente di trasparenze Greppi suggerisce, inoltre, un movimento dello sguardo in profondità, nella stratificazione delle trame che si sviluppano nella profondità dello spazio, rendendo in qualche modo intuibile la tridimensionalità in una pittura in apparenza risolta sul piano-superficie.
Siffatta discesa nel profondo delle strutture segniche introduce la componente temporale nella percezione dello spazio animato. Siamo con ciò trasportati in un ambito psicodinamico che ricorda gli "stati d'animo" di Boccioni. Il simbolismo è il presupposto, prima che l'obiettivo, della ricerca di Greppi, ossia il movente dell'immersione dello sguardo nella materia vivente, portatrice di sensi e di misteri. È come se l'artista compisse ogni volta una discesa placentare, recuperando la primitiva sintonia con lo spirito universale. Non a caso predilige situazioni visive che rimandano alla fluidità e investono, diremmo, i quattro elementi della fisica di Empedocle, che stabiliscono la continuità metamorfotica tra la terra e il cielo. Greppi ha dipinto con eguale impegno la densità del magma tellurico e la labilità dell'aria e del fuoco, ma ha dedicato una particolare attenzione alle masse acquoree esplicitamente riconducibili al liquido amniotico o, che è lo stesso, al brodo originario dove è avvenuta l'incubazione della vita. Il concetto di fluidità è da intendersi,pertanto, sia in senso proprio, come rappresentazione di stati della materia per definizione instabili, anzi cangianti e trascorrenti da una condizione all'altra, sia in senso figurato come simulazione, nell'immagine, di un moto che, intrinseco alla struttura formale, si lascia leggere come diagramma di pulsazioni e d fremiti, di ritmi e di concertazioni interiori. Non mancano iriferimenti possibili, linguistici e formali, del linguaggio grafo-pittorico di Giovanni Greppi a situazioni passate o presenti della ricerca artistica internazionale.
Mi pare esplicito il richiamo al simbolismo di Pont Aven mediato alla lezione dell'ultimo Dova, e fors'anche a un certo naturalismo di estrema dilatazione visiva, sino alla rifrazione astratta o neo-informale, dell'ultima festosa stagione di Antonio Corpora. Altre memorie sono le già rilevate consonanze boccioniane e le sempre dimostrabili derivazioni dall' espressionismo astratto e dall'informale, ossia da un retroterra che non può non far parte del bagaglio formativo un giovane artista.
Ma al di là delle consonanze fortuite e del implicite o anche dichiarate derivazioni stilistiche, con il rigore che lo distingue e il fervore che vorrei dire religioso della sua passione di artista, Greppi persegue nell'opera l'ideale di un' arte ispirata alla natura vivente. Ed è il luogo, la natura, ove si celebra il principio della continuità ciclica dell'essere nella mutazione delle forme, un processo simboleggiato nella figura dell'Uroboro, ossia del serpente che si morde la coda. È il luogo ove consegnata alle pagine minerali delle rocce, vergate dagli elementi nello scorrere dei millenni, e alle testimonianze figurali delle civiltà disseminate sul crinale remoto della storia, si conserva e si tramanda la memoria ancestrale dell'uomo, fissata in archetipi diffusi, con eguale valenza simbolica, a latitudini geografiche e culturali assai diverse. Va da sé che siffatta visione magica e mistica della natura costituisca in Greppi la spia della generosa volontà di arginare la dissoluzione del tempo, di recuperare il senso oggimai disperso dell'identità umana allo specchio della totalità dell'essere. Si noterà a margine del discorso generale, il fatto che Greppi abbia espresso tale assunto più compiutamente, e intendo dire con maggior pertinenza concettuale, nell'incisione che nella pittura. Ciò non certo per una questione di competenza operativa in uno piuttosto che nell'altro versante della sua ricerca, quanto piuttosto per una proprietà intrinseca alla tecnica dell'incisione a colori a più lastre, una tecnica particolare che Greppi pratica, come abbiamo detto, ormai magistralmente e con soluzioni stilistiche personali, avendola appresa da Swietian Kraczyna alla scuola internazionale del Bisonte, a Firenze. Nel caso dell'incisione a più matrici, il divenire della forma, e dunque il principio rappresentativo del divenire universale, è intrinseco alla successione degli interventi incisori sulle lastre e delle corrispondenti fasi di stampa: si struttura e si complica man mano che si sovrappongono, con le lastre, ulteriori segni e insinuazioni materiche e indizi figurali alla semplificata e diremmo essenziale figura originaria. La lastra conclusiva del ciclo di stampa è ultima solo perché l'artista decide di interrompere lo scandaglio della materia e la definizione visiva dell'immagine, ma il processo potrebbe seguitare per ulteriori stati. Le immagini che ne risultano sono una stratificazione visiva che consente perlustrazioni simultanee in profondità e in superficie, alla ricerca di gemme che rendano almeno l'idea del fluire di energia che pervade e sommuove ogni fibra della materia. Tanto più appropriata e significativa, siffatta tecnica, quando si debbano affrontare fondali e distese marine, cieli vorticosi, visioni rarefatte della natura in cui dominano gli elementi liquidi ed eterei, sugli altri per definizione mutevoli. Greppi ama altresì indagare e sviluppare i temi prescelti in serie di opere nelle quali muta la combinazione relativa delle parti e si innescano sequenze di immagini omologhe che sono vere e proprie variazioni di stato di un medesimo tipo. Si tratta di "esercizi di stile", diremmo con Queneau, cui Greppi si applica nell'evidente intenzione di attingere, con la profondità dello scandaglio e nella ripetizione variata di uno o più moduli-base, una conoscenza non superficiale ed effimera dell'essere, da affidare alla probità della forma. Sul piano puramente pittorico, si tratta di variazioni che interessano per lo più l'assetto morfologico dell'immagine. La quale, nella sostanza, rimane la medesima, e muta dunque la frequenza, l'orientamento e la dinamica dei segni nel tessuto visivo strutturato in diagonali, ondulazioni, vortici. Analoghe123CEF14D5 B432 5659 DDA1 D810A6A2EA89 variazioni interessano le dominanti cromatiche, la distribuzione e l'incidenza della luce, anch'esse governabili con il gioco delle varianti. Oltre all'originalità delle inquadrature, vuoi compendiarie vuoi ravvicinate a evidenziare il dettaglio, sottolineerei la diversa concezione formale dei tessuti pittorici, i cui ritmi sono sempre governati da una sorta di spirito dionisiaco della musica (Greppi cita Bach, ma per le sue immersioni paniche potrebbe egualmente evocare Debussy). Ebbene, i tessuti risultano frantumati e increspati, maculati con un effetto quasi di negativo-positivo o pezzati e striati, secondo la profondità delle masse implicate e dei moti che le percorrono e le agitano, determinando semplici ramezzature, dolci ondulazioni, correnti sotterranee, gorghi o vortici.
L'invito sottaciuto, ma irresistibile, delle incisioni 22 e dei dipinti è ad abbandonarsi nell'infinito, al modo leopardiano: a perdersi, per conoscersi, nel mare dell'essere. Greppi porge con sincerità e letizia le proprie "riduzioni" visive dell'infinitudine a figure acquoree, suggerendo che nell'inesauribile laboratorio della natura esse sono le fonti e vorrei dire le matrici e gli archetipi dell'immaginario umano, il collettivo e l'individuale. Risalire a quelle fonti può avere il senso della ricostruzione della propria storia intima, come un viaggio di Ulisse in cui gli incontri e le distrazioni, i misteri e le meraviglie costituiscano gli approdi provvisori di un uomo (intelligenza e sensibilità) alla ricerca di sé nell'altro da sé, e implicitamente dell'alterità insita nella radice profonda della psiche in cui, infine, credibilmente si addensa la "Nube della non conoscenza", ossia l'oscuro nucleo del mistero da dove si dipanano i percorsi degli elementi e delle creature nel mondo e nella vita.