La manifestazione della gioia. L’artista e il suo laboratorio in mostra

Nelle pagine di questo “giornale di bordo” fittamente annotato, giorno per giorno, di immagini colte al volo nel vivace svolgersi dell’operazione “laboratorio in mostra” apparecchiata e messa in scena, perché in definitiva di una rappresentazione corale si è trattato, in uno spazio ovvero ribalta interna, ampia e luminosa delle Officine Garibaldi. Sono eloquenti gesti, posture, azioni, immersioni, coinvolgimenti, eccitazioni, persino manifestazioni empatiche del dipingere in una situazione compatibile, perché liberamente partecipata e liberatoria in accezione ludica, di lavoro comunitario.

Nel centro polivalente di animazione culturale delle Officine da pochi mesi aperto a Pisa, ma già motore di interessanti manifestazioni, il pittore volterrano Giovanni Greppi ha esposto in modo inconsueto le proprie opere, come fossero disseminate un po’ ovunque nello studio anziché strategicamente disposte sulle pareti deputate delle gallerie. Con i dipinti e le incisioni ha esposto se stesso, nel senso che ha fatto mostra di sé come pittore nell’esercizio della pittura e della grafica. Per sette giorni, sospesa la solitudine operativa dello studio, ha trascorso la sua giornata di lavoro in trasferta, in uno studio dislocato in uno spazio delle frequentazioni e degli incontri, montato ad arte come teatro. Un luogo diversamente connotato, dunque, per fare da performer il proprio abituale lavoro creativo.

Pittore in azione alla presenza del pubblico, dunque, fatto di spettatori occasionali incuriositi dalla inconsueta esibizione, fermatisi comunque a osservare le modalità d’uso di materiali e strumenti della strana scienza della pittura, come un tempo discretamente si sbirciava la tela alle spalle dei pittori en plein air. Non sono però mancati gli spettatori interessati in termini più diretti e coinvolgenti al teatro della pittura. Alcuni artisti hanno lasciato una testimonianza visibile, ovviamente più delle altre, strutturata del loro non neutro passaggio; ma più importanti, come negli auspici e nelle finalità di fondo del progetto “laboratorio in mostra”, sono state le persone comuni maggiormente sensibili all’acchito creativo, che stimolati dal lavoro in corso, hanno avvertito il bisogno di prendervi parte, di entrare nel gioco. 

A questi potenziali “personaggi in cerca d’autore”, diremmo con Pirandello, quindi d’un ruolo nella drammaturgia visionaria che andava svolgendosi come pittura, è stato quindi rivolto l’invito a salire sulla ribalta, a intervenire da attori in uno o più momenti della rappresentazione della pittura nel suo farsi. Indotti per simpatia a depositare sulla carta o sulla tela un segno, un colore, una forma, una figura del proprio immaginario, quei temporanei comprimari hanno impresso la pulsazione e il respiro della creazione collettiva all’operazione “laboratorio in mostra”. Alla quale Greppi aveva pensato in primis per una propria, intima esigenza di sperimentare e farsi tramite di partecipazione e condivisione del processo creativo, per lui manifestazione della gioia di vivere, almeno come tensione, in sintonia con la totalità dell’essere nella natura. Sintonia che si fonda sulla comunicazione tra le diversità e la condivisione di obiettivi comuni, condizioni quanto mai disattese dagli uomini abbarbicati al proprio “particulare”. Oggi come sempre.

Come ideale tensione a quella concordia che sarebbe, se raggiunta, l’istituto della felicità, dunque un’utopia, si può senz’altro leggere la proposta di realizzare una grande tela nella quale far confluire e interagire le diverse persone creative (precedenza a disabili e anziani, ammessi gli artisti professionisti, ma in termini paritetici a tutti gli altri, precisa Greppi), ognuna la sua parte impegnata a spontaneamente portare e murare, per dirla con una metafora edificatoria, un mattone – un segno, un colore, una forma, una figura – della costruenda casa della memoria visiva, che tutti li accoglie e li assembla e li fa coralmente risuonare i contributi creativi depositati dai temporanei abitatori del cantiere.

Una grande tela, dunque, e migliaia di segni informi, germinali morfemi, abbreviati iconogrammi, larvali figure, una costellazione di interventi portati dal gesto per lo più impulsivo e direi primario, scarsamente e raramente governato dalla ratio formatrice o rispettoso di una qualche norma linguistica, essendo progettuale, nella proposta, la libertà di invadere e segnare la porzione di campo prescelto senza temere eventuali sconfinamenti nel campo da altri occupato.  A compimento dell’impresa ne è scaturita una partitura pittorica animatissima, direi un immenso oblungo graffito assimilabile alla registrazione d’un flusso psichico collettivo, vibrante di intensi colori, di segni elettrizzati, di nuclei materici sfrangiati, di volti e forme figurali terremotate nel generale sommovimento di una tessitura andatasi componendo nel seguito arbitrario degli  interventi, magari l’uno suggerito dall’altro, per aggregazione compenetrazione sovrapposizione dei depositi di materia e colore.

Si può dire che la stratificazione e la diversa, residuale visibilità o anche la totale scomparsa dei singoli interventi compongano una sorta di palinsesto, una raccolta documentaria di storie sommerse ormai indecifrabili, delle quali emergono tracce, frammenti comunque testimoni di singole presenze creative, le cui voci concorrono alla concertazione di una frenetica polifonia di acute e dissonanti note emergenti nel magmatico sottofondo delle note sommerse, comunque sonore, nell’imo degli strati. Ora mi piace ricordare che Giovanni Greppi ha per lo più portato lo sguardo nel profondo, anziché sulla superficie quando da pittore ha incontrato il reale. Dico gli aspetti diversi della natura come delle situazioni umane. Palinsesti sono poi in buona parte le sue incisioni a più lastre, ognuna delle quali deposita la propria forma figurata su quella della lastra precedentemente accolta dal foglio. Ognuna dunque aggiunge e toglie qualcosa alla precedente, concorrendo a determinare l’ambiguità e la polisemia dell’immagine finale, che rimanda sempre, come in un palinsesto testimoniale, appunto, a un’emergenza critica dell’uomo che patisce le ricadute devastanti della disarmonica visione dell’essere nella vita e nella storia.

Sarà un caso, ma nell’operazione “laboratorio in mostra” da Greppi pensata per sottolineare la propria visione dell’arte come luogo di incontro e condivisione e riconoscimento di dignità paritetica a ogni e diversa personalità creativa che in essa si esprima, il concorso di tanti alla realizzazione, in piena libertà di intervento e come “creazione condivisa”, di un’opera collettiva testimoniale di tutte le individualità, ha prodotto un dipinto che si potrebbe riconoscere come autografo del nostro artista, il cui intervento si è limitato a un sommario raccordo finale della grande composizione paratattica cresciuta per successivi arbitrari interventi.

Nicola Micieli